FAQ

La Legge 22 ottobre 1971, n. 865, conosciuta anche come “legge di riforma della casa“, prevede una serie di prescrizioni volte ad agevolare l’edificazione di alloggi popolari, ad opera di imprese e cooperative, alle quali viene imposta la stipula di un’apposita convenzione con l’ente locale (comune), volta a disciplinare, oltre al pagamento della concessione del diritto di superficie e alle prescrizioni volte a consentire la realizzazione delle opere di urbanizzazione, i criteri per la determinazione del prezzo di cessione degli alloggi. Il prezzo definito dalla convenzione costituisce il prezzo massimo che l’operatore potrà praticare nel trasferimento della proprietà dell’abitazione al primo destinatario e, successivamente e per la durata della convenzione, quello che tale destinatario potrà applicare ad un successivo acquirente (salvo istanza di affrancamento dai vincoli).

Il prezzo massimo di cessione è soggetto ad aggiornamenti secondo i criteri e i parametri stabiliti dalle singole convenzioni per la concessione/cessione del diritto di superficie/proprietà dell’area su cui insiste l’immobile.

Con la delibera del Commissario Straordinario n. 33 del 17 dicembre 2015 sono state definite le modalità  per l’eliminazione dei vincoli relativi al prezzo massimo di cessione gravanti sugli alloggi realizzati in aree PEEP e contestualmente è stato approvato lo Schema di Convenzione integrativa per l’affrancazione di tali vincoli.
Successivamente con la delibera n.40 del 6 maggio 2016 del Commissario sono stati specificati i criteri  per la rimozione dei predetti vincoli e per la determinazione del valore venale delle aree. Contestualmente sono stati determinati i valori venali delle aree relativamente ai 118 piani di zona insistenti sul territorio di Roma Capitale.

Pertanto i proprietari degli immobili che vogliano venderli a prezzi di libero mercato (maggiori dei prezzi massimi di cessione) devono presentare apposita domanda all’Amministrazione capitolina, versare il corrispettivo per la rimozione del vincolo e sottoscrivere con Roma Capitale apposita convenzione integrativa.

Ai fini della presentazione dell’istanza per la rimozione del vincolo, devono comunque essere trascorsi cinque anni dalla data di primo trasferimento dell’immobile (quello cioè intervenuto tra concessionario/cessionario dell’area e socio/acquirente). Il corrispettivo di affrancazione verrà calcolato dall’Amministrazione capitolina secondo le modalità descritte nelle deliberazioni sopra richiamate, nel rispetto dell’art.31, comma 48 della legge 448/98.

L’amministrazione ritiene ammissibili anche la definizione d’urgenza delle pratiche per comprovati motivi quali:

  • prossimo rogito (a tal fine si allega contratto preliminare di vendita  registrato);
  • divisione ereditaria (allega domanda/atto di successione ereditaria).

In linea di massima gli immobili realizzati senza convenzione non sono sottoposti alla procedura di affrancazione, ma possono rientrarci gli immobili realizzati a seguito di assegnazione effettuate sulla base dell’art. 10 della legge 167 del 1962.

In tema di parti comuni e conseguente obbligo di manutenzione esistono regole differenti per i balconi cosiddetti “aggettanti” e per gli elementi decorativi presenti sugli stessi.

I balconi aggettanti,  che per definizione sporgono dalla facciata dell’edificio, sono considerati solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono e pertanto sono una pertinenza dello stesso.

I balconi e le relative solette non svolgendo alcuna funzione di sostegno, né di necessaria copertura dell’edificio, non possono considerarsi a servizio dei piani sottostanti, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani e ad essi non può applicarsi il disposto dell’articolo 1125 c.c. secondo cui le spese per la ricostruzione e manutenzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti uguali dai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del piano inferiore l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.

Quanto su descritto trova conferma nelle due sentenze della Suprema Corte di Cassazione che: con le sentenze n. 12.01.2011, n.587 e n. 05.01.2011, n. 218 , conferma  un orientamento ormai consolidato puntualizzando che seppure volesse riconoscersi alla soletta del balcone una funzione di copertura rispetto al balcone sottostante, tuttavia, trattandosi di copertura disgiunta dalla funzione di sostegno e, quindi, non indispensabile per l’esistenza stessa dei piani sovrapposti, non può parlarsi di elemento a servizio di entrambi gli immobili posti su piani sovrastanti, ne’, quindi, di presunzione di proprietà comune del balcone aggettante riferita ai proprietari dei singoli piani ( Cass. n.14576/2004 ).

La correttezza o meno delle tabelle millesimali può essere verificata un tecnico competente in materia, in grado di leggere correttamente le planimetrie e riuscire a comprendere i parametri tecnici adottati.

Nuova stretta sui proprietari di immobili rurali definiti “fantasma”. In arrivo numerose nuove comunicazioni di irregolarità relative ai fabbricati dotati del requisito di ruralità ancora censiti al Catasto Terreni, e per i quali, si ricorda, la Legge n. 214/2011 (cd. “Salva Italia”) aveva previsto, entro la fine del 2012, l’obbligo di regolarizzazione mediante iscrizione o passaggio al Catasto Fabbricati dei fabbricati che, ancora censiti al Catasto Terreni, abbiano perso il requisito di ruralità. Nel comunicato ufficiale diramato il 24 maggio 2017, l’Agenzia delle Entrate ha reso noto l’invio di numerosi nuovi avvisi bonari indirizzati ai proprietari di immobili rurali, colpevoli di aver completamente disatteso le scadenze fissate dalla sanatoria catastale del 2011.

Come noto, infatti, dopo la campagna di sensibilizzazione dell’Agenzia all’epoca, fu emanato il decreto legge n. 201/2011, poi convertito con legge n. 214 del 2011 (cd. “Salva Italia”) che introdusse l’obbligo di dichiarare gli immobili rurali al Catasto Fabbricati entro e non oltre il 30 novembre 2012.

Pertanto per promuovere nuovamente la regolarizzazione spontanea delle posizioni catastali, l’avviso bonario in dirittura d’arrivo nel corso delle prossime settimane, consentirà al contribuente interessato di segnalare all’Agenzia delle Entrate l’eventuale presenza di anomalie riscontrate in merito al contenuto dello stesso avviso compilando un modulo predisposto ad hoc ed allegato alla richiesta di aggiornamento catastale di regolarizzare la propria posizione provvedendo in maniera del tutto autonoma all’iscrizione del fabbricato nel catasto edilizio urbano avvalendosi dell’ausilio di un professionista abilitato alla professione ed iscritto in un Albo professionale. In questo modo, aderendo al contenuto dell’avviso bonario, tali soggetti potranno beneficiare dell’istituto del ravvedimento operoso, che prevede in luogo dell’applicazione delle sanzioni nella misura ordinaria oscillante tra un minimo di 1.032 e un massimo di 8.264 euro l’irrogazione di sanzione edittale in misura ridotta di un sesto del minimo, e pari cioè a 172 euro. In caso di mancata regolarizzazione, precisa il comunicato amministrativo, le direzioni provinciali del Territorio dell’Agenzia delle Entrate, procederanno all’irrogazione delle sanzioni previste per legge e all’accertamento “in sostituzione del soggetto inadempiente, con oneri a carico dello stesso”.

Restano, invece, esclusi dall’obbligo di accatastamento: i manufatti con superficie coperta inferiore a 8 metri quadrati; le serre adibite alla coltivazione e alla protezione delle piante sul suolo naturale; le vasche per l’acquacoltura o di accumulo per l’irrigazione dei terreni; i manufatti isolati privi di copertura; le tettoie, i porcili, i pollai, i casotti, le concimaie, i pozzi e simili, di altezza utile inferiore a 1,80 metri e di volumetria inferiore a 150 metri cubi; i manufatti precari, privi di fondazione, non stabilmente infissi al suolo; i fabbricati in corso di costruzione o di definizione e i fabbricati che presentano un accentuato livello di degrado.

Sì (Sisma bonus), bisogna che un tecnico abilitato compia la diagnosi dell’edificio e ne individui la classe di rischio (da A+ a G) prima di effettuare l’intervento. Successivamente predisporre i progetti per aumentare la sicurezza antisismica e seguire l’iter amministrativo. Terminati i lavori il tecnico certificherà la conformità degli interventi effettuati ai progetti presentati, assicurando dunque il miglioramento della classe di rischio.

Se la classe energetica è più alta di quella reale l’acquirente risulta chiaramente danneggiato dalla non veritiera certificazione energetica per il fatto che consumerà di più per il riscaldamento e per il raffreddamento dell’immobile acquistato. È dunque possibile rivalersi in sede civile sulla base delle risultanze di una perizia redatta da un tecnico certificatore energetico.

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